È cosa risaputa. Lo aveva già fatto, nel 1294, con la rinuncia
al mandato, Papa Celestino V. Dante nell’Inferno
lo definì “colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Più di
sette secoli dopo, con una mossa a sorpresa, decide di
uscire di scena e ritirarsi a vita privata un grande personaggio
della storia del Novecento. Si chiama Joseph Ratzinger,
bavarese, che diventa Papa con il nome di Benedetto
XVI. Da ora in poi sarà “emerito” (dal latino ‘emeritus’)
cioè che ha meritato, titolo dato a chi nella Chiesa lascia
l’incarico per limiti d’età o per rinunzia volontaria.
Ecco perché Benedetto XVI, più che nonagenario, è un
Papa “diverso” dagli altri.
Egli è la novità. Siamo di
fronte a una figura, almeno
in apparenza, fragile,
eppure ha dato l’occasione
clamorosa per un rendiconto
generale sullo
stato del governo di una
chiesa in bilico tra emergenze
e situazioni insostenibili,
ma disposta a
guardare avanti. La domanda
è: cosa ha spinto
un teologo di comprovato
spessore ad abdicare, divenuto
“emerito” non solo
per la Chiesa ma anche
per il mondo, lasciandovi
una traccia speciale. Tutti ricordiamo l’annunzio di quella
decisione l’11 febbraio 2013 da un uomo misurato ma che
si dimostra decisivo quando si tratta di affrontare una situazione
interna che non aveva previsto e per la quale era
sostanzialmente impreparato.
Anche solo per questa ragione sarebbe un eccellente
esempio di come abbia dato prova di sapersi muovere e
agire per amore e nell’interesse di una Chiesa che a molti
di noi sembra, a volte, aver perso l’equilibrio. E tuttavia logorata
al suo interno da endemiche divisioni e insidiata al
suo esterno da scientisti pretenziosi, bersaglio di dottrine
perverse e falsi profeti, alternandosi nei suoi riguardi la
calunnia al disprezzo. E Dio sa quanto al Papa premesse
la primaria difesa della unità di fede, ben oltre la sfera accademica,
intenzionato a intervenire con lucidità e intransigenza.
Ma, soprattutto, brandendo le armi in suo possesso:
la carità, la preghiera, il patire. Vi è di più. In otto
scarsi anni di pontificato (2005-2013) mai si sottrae al dialogo con persone di diversa religione e cultura, tipico di chi
vuole incontrarsi e confrontarsi. Un merito che gli aprirà
importanti relazioni in ambito ecumenico e che lo portò a
compiere viaggi “apostolici” ben oltre il perimetro dei sacri
confini. |
Docilità fermezza, ispirazione: le doti che Benedetto XVI
ha dimostrato di possedere e saper esercitare anche negli
anni (dal 1981) trascorsi da prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio). È da lì che, nel
2012, pensa di indire un “Anno della Fede”, proprio nel
50° anniversario dell’ultimo Concilio (1962-1965) al quale
partecipò come esperto
(1964). Anche quel pellegrinaggio
al santuario
mariano di Loreto – così
come fece Papa Giovanni
XXIII prima di
aprire la grande Assise,
affidandone alla Vergine
i lavori – conferma la
sua volontà di proseguire
rimanendo fedele alle
tematiche ecumeniche
del Vaticano II, indubbiamente
il più storico
avvenimento del secolo,
una “bussola” con cui
orientarsi nel terzo millennio
cristiano, come lo
definì Giovanni Paolo II, che aveva del cardinale Ratzinger
grande stima.

Fu certamente una sorpresa vedere Angelo Roncalli, il
Papa dal volto buono, salire su un treno, lasciare all’alba
la stazione vaticana e attraversare alcune regioni lungo la
via ferrata, piuttosto che in macchina, racconterà Mons.
Loris Capovilla, suo storico segretario e testimone diretto
del viaggio.
INSTANCABILE NELLO STUDIO
Che il Papa, oggi emerito, fosse un teologo assai noto, un
illustre rappresentante dell’intellettualità europea, nonché
convinto assertore dell’Europa unita e solidale, è fuori
dubbio. Mai però protagonista, mai superficiale, che anzi
amava, come gli ultimi e i buoni, il lavorare all’ombra della
discrezione e del silenzio, senza attese di lodi.
È molto assiduo negli studi, in una rivisitazione a volte anche
critica delle fonti e nel contesto più ampio delle culture umane, ponendo sempre e soprattutto nella parola e nella preghiera il |