Il 12 febbraio 2024, in occasione dell’udienza concessa ai membri della Pontificia Accademia per la Vita, riuniti a Roma per l’Assemblea Generale incentrata sul tema “Human. Meanings and Challenges”, Papa Francesco, dopo aver ringraziato la Pontificia Accademia per l’impegno profuso nei suoi trent’anni di attività «nel campo della ricerca delle scienze della vita, della salute e della cura» (fu Papa Giovanni Paolo II che la fondò l’11 febbraio 1994), ha indicato alla platea una considerazione da porre alla base dei lavori: «Come si possa comprendere ciò che qualifica l’essere umano». La riflessione proposta dal Santo Padre nel discorso pronunciato - che si caratterizza per combinare sapientemente la sinteticità dell’estensione con la profondità dei contenuti - affonda le sue radici nel fertile terreno delle Sacre Scritture e del Magistero della Chiesa e, in particolare, nel richiamo al Libro della Genesi (Gen 11,1-11; Gen 1-3), al Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,8), alla Lettera Enciclica Laudato sì’ (LS, 108), alla Costituzione apostolica Veritatis Gaudium del 29 gennaio 2018, “circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche” (n. 4c; 3). In verità, il quesito di partenza sopra indicato, avente ad oggetto il «come si possa comprendere ciò che qualifica l’essere umano», costituisce un interrogativo di straordinaria attualità in un mondo caratterizzato, nell’odierna contemporaneità globale dalla sistematica, progressiva e continua introduzione di tecnologie digitali tanto innovative quanto dirompenti. «Il contributo degli studiosi da sempre ci dice che non è possibile essere a priori “pro” o “contro” le macchine e le tecnologie» – afferma il Santo Padre – così come non è bene distinguere tra «processi naturali e processi artificiali», privilegiando solo i primi come umani. Di fondamentale importanza è «(…) inscrivere i saperi scientifici e tecnologici all’interno di un più ampio orizzonte di significato, scongiurando così l’egemonia tecnocratica » (LS, 108). Ecco, dunque, come nel magistero petrino di Papa Francesco ritorna ancora una volta il ruolo cruciale rivestito dalla “tecnocrazia” all’interno degli scenari sociali dell’umanità, sottolineando il Santo Padre che il voler «riprodurre l’essere umano con i mezzi e la logica |
della
tecnica» determina la riduzione dell’umano ad un insieme
di «prestazioni riproducibili a partire da un linguaggio digitale,
che pretende di esprimere, attraverso codici numerici, ogni tipo di informazione». Questa ricerca del
“linguaggio unico” nell’umanità sembra quasi ripercorrere
il racconto della Torre di Babele richiamato nel libro della
Genesi (Gen 11,1-11), quando il popolo avrebbe potuto
realizzare il proprio progetto in quanto le persone parlavano
un’unica “lingua”; poi il Signore intervenne differenziando
la lingua unica, al punto che “non comprendano
più l’uno la lingua dell’altro”. Nel suo discorso, il Santo Padre
evidenzia la positività di questo intervento divino, che
appare come una importante
correzione
alla deriva verso il
“pensiero unico”, attraverso
la pluralità
di lingue nel rispetto
reciproco della “alterità”.
Oggigiorno, in
un mondo di sempre
più forti capacità della
scienza e della
tecnica, gli esseri
umani sono portati a
sentirsi “protagonisti
di un atto creatore”,
vicino e simile all’azione
divina. Forte è
l’anelito a produrre
«l’immagine e la somiglianza
della vita umana, inclusa la capacità del linguaggio,
di cui le “macchine parlanti” sembrano essere
dotate». Ovviamente questo “potere”, che l’umanità pensa
di aver acquisito, grazie allo sviluppo delle tecniche e delle
tecnologie, potrebbe portare alla tentazione forte ed insidiosa
di confondere la capacità “creativa” umana con
quella divina. |
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