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Anno XLVIII Numero 3 | fide constamus avita | Settembre-Dicembre 2020 |
Quest’anno, a motivo della pandemia del Covid-19 tuttora in corso, siamo chiamati a celebrare Natale in modo
diverso. Le Autorità competenti ci esortano ad un comportamento
prudente, responsabile e sobrio, per evitare
ulteriori impennate del contagio. Saremo quindi costretti
a fare diverse rinunce per proteggere noi stessi e gli altri,
in particolare, i nostri cari. Nel Vangelo che viene letto nella Messa della notte di
Natale ascoltiamo l’annuncio degli angeli ai pastori, che
conclude con queste parole: «Gloria a Dio nel più alto dei
cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc
2,14). Nel Gloria, che cantiamo poco prima, le parole
suonano leggermente diverse: «Gloria a Dio nell’alto dei
cieli e pace in terra agli uomini, amati dal Signore». |
apre la strada ad ogni forma di violenza, disprezzo e sfruttamento. «Solo se la luce di Dio brilla sull’uomo e nell’uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile» (ibid.). Mentre dobbiamo ammettere
che vi sono stati casi di uso
indebito della religione lunga
la storia, è anche vero che
«dalla fede in quel Dio che si
è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione
e di bontà. Nel buio del peccato e della
violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di
pace e di bontà che continua a brillare» (ibid.). Nella traduzione liturgica del Gloria che conoscevamo, si
leggeva: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra
agli uomini di buona volontà». Nella nuova traduzione, invece,
si legge: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in
terra agli uomini, amati dal Signore». Come spiegare questo
cambiamento? |
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