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A pochi giorni di distanza dalla Giornata Mondiale della Gioventù voglio tentare una riflessione sulla portata di un evento come questo a partire dalle parole rivolte dal Papa al milione e mezzo di giovani presenti a Lisbona. Parole che hanno ricevuto un ascolto eccezionale e produrranno un frutto abbondante nei cuori di tutti (a volte il venti e a volte il cento per uno, come dice il Vangelo, ma sicuramente porteranno frutto), considerando anche che per moltissimi dei presenti, provenienti dai luoghi più disparati del globo terrestre, è stata la prima e forse una delle rare occasioni in cui hanno potuto vedere e udire di persona il Vicario di Cristo, possibilità che noi italiani (e, in particolare, noi romani)abbiamo molto più di frequente, anzi in fondo per noi la compagnia del Santo Padre è costante.

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Inizio dall’intervento del Papa nella cerimonia di accoglienza nel suo giorno di arrivo. Dopo le parole di saluto del Patriarca diLisbona, il Papa ha esordito ricordando una delle prime verità di fede che ci vengono insegnate nel catechismo, ma di cui ci dimentichiamo troppo facilmente: il Signore ci chiama non “automaticamente”, ma per nome. Tanti riferimenti biblici ci vengono in mente: «Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè!”» (Es 3,4), «il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome» (Is 49,1); nei Vangeli la chiamata di ogni singolo apostolo, ancora dopo la conversione di San Paolo («Saulo, Saulo, perché mi perseguiti»: At 9, 4).
L’amicizia con Dio è essenzialmente riconoscimento di una sua chiamata, di una vocazione gratuitamente data che per ognuno di noi si rende più chiara in specifici momenti della nostra vita, in specifici volti in cui si incarna oggi quell’amore di Cristo che rischierebbe di restare un fatto astratto, un’immaginazione consolatoria: l’augurio del Papa in apertura è stato che i giorni della GMG siano uno di questi momenti forti di chiarezza, come «echi vibranti della chiamata d’amore di Dio». Il metodo di Dio, continua il Santo Padre, è molto diverso da quello imperante sui social, dove un algoritmo elabora le preferenze di ognuno asservendole alle logiche del profitto; nell’amore di Dio ogni uomo e ogni suo desiderio sono presi sul serio, e nella Chiesa, Corpo

vivo di Cristo, non sono i migliori ad essere chiamati ma tutti gli uomini, nella nostra condizione concreta di fragilità e di peccato, ma soprattutto di perdono continuamente ricevuto dal Padre: «nella Chiesa c’è spazio per tutti», ribadisce con la sua radicalità Papa Francesco; in fondo resta vera la lapidaria massima di G. K. Chesterton: «La Chiesa non permette niente, ma ti perdona tutto. Il mondo permette tutto, ma non ti perdona niente».
Altro punto del Santo Padre: «non stancatevi di fare domande» perché questa inquietudine «è il miglior rimedio all’abitudine che anestetizza l’anima». Penso che ognuno, nella sua esperienza, possa confermare questo. «Queste domande con la vita diventano risposte, dobbiamo soltanto aspettarle»: non è l’ideale del dubbio socratico, ma di una ricerca che non si ferma nell’approfondire la verità, anche dopo averla trovata, intuita, secondo le parole di Sant’Agostino: «se qualcuno non capisce, cerchi di rallegrarsi anch’egli mentre si chiede: che significa ciò (Dio, la fede, il senso della vita)?Si rallegri così, senza accorgersi di averti così già trovato, anziché credere di averti trovato, mentre non ti ha trovato affatto» (Cf 1,6), o, millecinquecento anni dopo, con le parole di don Luigi Giussani in chiusura del suo Il senso religioso: di Dio come Mistero non potremo mai dire «ho capito!», ma solo avvicinarci, ogni giorno di più, alla sua grandezza.
Il giorno successivo, 4 agosto, presiedendo la Via Crucis, il Papa ha invitato i giovani a camminare con Gesù, come Gesù, che ha camminato per le vie del mondo mosso dall’amore all’uomo, fino a dare la vita, appunto nell’ora suprema della Croce: e solo questa nostra imitazione del Maestro può essere il senso plausibile di un pio esercizio come quello di ripercorrere le quattordici stazioni che drammaticamente si chiudono con la morte di Cristo, colui che, nella storia, più di tutti ha anteposto il proprio cuore innamorato alle prospettive di una vita comoda, per riprendere un famoso pensiero di San Josemaria Escrivà su cui, con altre parole, ha molto insistito il Papa nelle sue parole alla GMG, affermando che «bisogna correre il rischio di amare» (e che rischio è amare, rispettando la libertà dell’altro) e invitando ad un momento di silenzio per accompagnare alla contemplazione della Croce l’offerta di tutte le preoccupazioni e le sofferenze dei giovani presenti.
Nella Veglia del sabato sera un tema è venuto soprattutto in evidenza, compendiato nella frase «la gioia è missionaria»; c’è come una catena nella fede: alla gratitudine (che va continuamente rinno-

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