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La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo «è come una via maestra, sulla quale molti passi avanti sono stati fatti, ma tanti ancora ne mancano, e a volte purtroppo si torna indietro. L’impegno per i diritti umani non è mai finito! A questo proposito, sono vicino a tutti coloro che, senza proclami, nella vita concreta di ogni giorno, lottano e pagano di persona per difendere i diritti di chi non conta» (in L’Osservatore Romano, 11 dicembre 2023, p. 12). Queste sono state le parole pronunciate da Papa Francesco nell’Angelus del 10 dicembre 2023, in occasione del 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, all’insegna di un principio fondamentale, secondo il quale: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti…» (art. 1).
Nel testo della Dichiarazione – che è composto da un preambolo e da 30 articoli – si possono evidenziare alcune parole-chiave: “dignità” (che compare 5 volte); “diritti” (63 volte); “libertà” (21 volte); “lavoro” (4 volte; in particolare i capitoli 23 e 24); “sicurezza” (3 volte) e “benessere” (2 volte). Ebbene, proprio queste parole-chiave, se da un lato danno – anche quantitativamente, oltre che qualitativamente – la portata politica del documento e la lungimiranza degli estensori, dall’altro evidenziano anche l’ampiezza del ritardo nell’applicazione di questi principi fondamentali, nel mondo del lavoro contemporaneo.
Come si legge nella Lettera Apostolica Patris Corde dell’8 dicembre 2020, «In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono» (PC, 6; il riferimento è a San Giuseppe Lavoratore).
Più recentemente, Papa Francesco ha riaffermato la centralitàdel binomio dignità-lavoro nel messaggio inviato ai partecipanti alla seconda edizione di “LaborDì: un cantiere per generare lavoro”, promosso dalle ACLI di Roma e tenutosi il 13 dicembre 2023: «La parola “lavoro” oggi, purtroppo, ne evoca spesso la mancanza, e ciò rappresenta una grave ferita alla dignità di tante persone. Ma la dignità è ferita anche quando il lavoro non è

sufficientemente stabile e compromette progetti e scelte di vita, come la creazione di una famiglia …»; circostanza che trasforma il “vuoto” occupazionale in un «terreno che frana sotto i piedi, costringendo a camminare in equilibrio precario» ... «davanti a questo senso di vuoto tanti, spaesati e demotivati, rinunciano e vanno altrove, ma ciò, oltre a provocare amarezza, costituisce una sconfitta, perché le risorse non mancano e vanno impiegate per realizzare sogni concreti, come quello di un lavoro stabile e duraturo,
di una famiglia da formare …».

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Le parole del Papa paiono straordinariamente efficaci nel rappresentare le molteplici dimensioni che caratterizzano alcuni aspetti della criticità del lavoro contemporaneo: il problema non si reduce, infatti, alla sola disoccupazione, esprimendosi anche nella sostanziale precarietà (intesa anzitutto come assenza di stabilità) e povertà (si pensi al fenomeno dei cc.dd. “working poors”) del e nel lavoro medesimo. Tutto ciò provoca evidentemente un impatto preoccupante sulla sfera psicosociale delle persone, le cui esistenze risultano spesso disorientate e “rinviate” (L. Gallino, Vite rinviate, Laterza, 2014).
Proprio al riguardo, nel messaggio cui si fa riferimento, il Papa affronta con decisione anche i temi cruciali della “qualità” del lavoro (e della vita lavorativa) e dello stress lavoro-correlato, ponendo l’accento sul “lavoro che schiaccia” e che impone una «pressione costante, ritmi forzati, stress che provoca ansia, spazio relazionale sempre più sacrificato in nome del profitto a tutti costi». Concetti come “illegalità” (con la diffusione del lavoro nero), “lavoro disumanizzato” (con una diffusione delle moderne tecnologie digitali spesso non utilizzate secondo una visione realmente centrata sulla persona che lavora) e “mancanza di sicurezza sul lavoro” (spesso provocata dalla frenetica corsa a produrre sempre di più, costi quel che costi), tratteggiano prospettive future tutt’altro che serene.

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