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La Chiesa universale è da tempo impegnata in un processo di consultazione e di riflessione sul tema della sinodalità in preparazione alle due Assemblee ordinarie del Sinodo dei Vescovi che si svolgeranno nell’ottobre 2023 e nel corso del 2024. La fase preparatoria ha cercato di coinvolgere tutti i battezzati ai vari livelli della vita della Chiesa (parrocchiale, diocesano, regionale, continentale e universale) in un processo di consultazione senza precedenti, nel tentativo di determinare come meglio andare avanti nella promozione di un modello di Chiesa più partecipativo, in linea con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II sulla dignità e corresponsabilità di tutti i membri della Chiesa, sul sacerdozio comune dei battezzati, sulla vocazione universale alla santità e sulla varietà dei doni, carismi e ministeri. La realizzazione di una visione più sinodale della Chiesa, in cui ogni battezzato possa svolgere un ruolo attivo, è necessaria per dare nuovo slancio alla sua missione evangelizzatrice e renderla più incisiva.

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Ma che cos’è la sinodalità? Il termine deriva da una parola greca synodos, sinodo, composta dalla preposizione syn, con, e dal sostantivo odos, via. Nel contesto ecclesiale, indica il cammino fatto insieme dal popolo di Dio. «Sinodo» può significare un’assemblea ecclesia oppure la comunità ecclesiale nel suo insieme. Il termine «sinodalità», quindi, significa «camminare insieme». Secondo il recente documento La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa della Commissione Teologica Internazionale, pubblicato nel 2018, la sinodalità «indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» (n. 6). Essa designa anzitutto lo stile particolare che qualifica la vita e la missione della Chiesa. Si realizza «attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli,

alla sua vita e alla sua missione» (ibid., n. 70).

La sinodalità implica, tra l’altro, la partecipazione di tutto il popolo di Dio nei processi di elaborazione delle decisioni (decision-making) attraverso un lavoro comune di consultazione, cooperazione e discernimento (cfr. ibid., n. 69). La responsabilità di prendere le decisioni (decisiontaking), però, compete a chi legittimamente è incaricato di esercitare l’autorità, come, per esempio, il Vescovo nella sua diocesi.

Si tratta di un processo di discernimento comunitario che è essenzialmente spirituale, guidato dallo Spirito Santo, allo scopo di capire ciò che egli sta dicendo alla comunità. Al riguardo, Papa Francesco afferma: «Un cammino sinodale è caratterizzato dal ruolo dello Spirito Santo. Ascoltiamo, discutiamo in gruppo, ma soprattutto prestiamo attenzione a ciò che lo Spirito ha da dirci. Per questo chiedo a tutti di parlare con franchezza e di ascoltare gli altri attentamente: perché anche là parla lo Spirito» (Ritorniamo a sognare: La strada verso un futuro migliore [Milano, 2020], pp. 97-98).

L’elaborazione delle decisioni che riguardano la vita della comunità nel suo insieme dovrebbe avvenire con il coinvolgimento di tutti, in clima di preghiera e ascolto dei suggerimenti dello Spirito Santo, nella consapevolezza della corresponsabilità e con il desiderio di contribuire al bene comune, e non per fare prevalere le proprie posizioni o esercitare pressioni. La partecipazione di tutti nell’elaborazione delle decisioni è essenziale per individuare soluzioni più articolate e più complete, e anche per evitare i pericoli di abusi di autorità, favoritismi e arbitrarietà nella presa delle decisioni. Quindi, chi esercita l’autorità ha la responsabilità di coinvolgere la comunità, consultare, ascoltare, valutare le diverse opinioni e cercare la verità, anche nelle posizioni opposte alla sua. Dall’altra parte, la decisione è sua, e tale decisione non sarà necessariamente quella preferita dalla maggioranza. Non si tratta, però, di imporre arbitrariamente il suo punto di vista; egli deve agire in spirito di servizio e secondo i dettami della propria coscienza; egli è tenuto a cercare il bene comune, in fedeltà alle ispirazioni dello Spirito Santo, agli insegnamenti della Chiesa e alle direttive del Magistero. Non si tratta, quindi, di trasformare la comunità ecclesiale in una realtà democratica, ma di assicurare che i pastori e tutti i membri della comunità contribuiscano al processo di elaborazione e di presa di decisioni, secondo le responsabilità, la vocazione, la missione, i doni e i carismi di ciascuno.

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