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Periodico dell'Associazione

 

Pier Giorgio Frassati...

 

 

isdc

Io sono di Cristo...

 

 

Attività Sport Arbitraggio

Era una domenica come le altre quando alla fine della celebrazione in cappella mi si avvicinò Massimo Cumbo, ex presidente internazionale di calcio a 5, che mi chiese “Ti andrebbe di entrare in sezione arbitrale?”.

Quella domanda... perplesso, accettai. Feci il corso, l’esame e diventai arbitro federale di calcio.

Da quell’ottobre 2013 nacque in me una nuova vita. Dopo cinque anni intensi di fischietto presi la decisione di passare di ruolo, diventando così assistente arbitrale (in termini profani “guardalinee”). Da giugno 2019 sto galoppando verso una nuova avventura.

Questo è il Gruppo Allievi: un luogo innanzitutto sacro, per te e per gli altri,a1 un luogo di incontro con molti altri ragazzi che sono entrati prima e dopo di me, come fosse una “scuola”, una scuola di vita. Un luogo dove puoi scegliere il tuo destino. Almeno per me è stato, ed è, così. Un punto di partenza verso nuove e diverse realtà che neanche io conoscevo o avrei potuto conoscere. Mai avrei potuto pensare che quel semplice varco di soglia di quella pesante porta che conduce qui dentro avrebbe potuto un giorno cambiarmi, o meglio, perfezionarmi. D’altronde, alla fine, è cominciata da quel 24 febbraio dello stesso anno, quando chiesi di entrare nell’Associazione.

Essere arbitro di calcio ti porta non solo a ricevere tanti insulti dalle tribune delle società sportive, ma anche a ricevere tante soddisfazioni. Questo lo sto sperimentando anche adesso anche se corro su una fascia del campo con una bandierina in mano. Dai divani di casa siamo tutti “professoroni” quando vediamo un arbitro di Serie A concedere un calcio di rigore o dare un cartellino di un colore diverso da quello che pensiamo. Ora posso ammettere che non è facile vivere la partita: altre emozioni, altre prospettive, altro tipo di tensione che si respira in mezzo a quei 22 uomini. E lo posso confermare.

Ogni mercoledì, sabato o domenica che arrivo in spogliatoio e tiro fuoria2 quella maglia gialla dal borsone la prima cosa a cui penso è l’androne della “Sala dei Papi” qui da noi: è esattamente il posto dove incontrai per la prima volta Massimo. L’ultimo pensiero che mi viene in mente quando sto rientrando a casa da una partita è quello di ringraziare Dio per il giorno in cui mi venne in mente di far parte di questa numerosa famiglia. Essere arbitro non significa solamente scendere in campo, farsi quei novanta e più minuti, fischiare o alzare una bandierina. Arbitrare significa anche e soprattutto sacrificare parte della propria vita per inseguire una passione che dura da quando avevo sedici anni; correre per raggiungere obiettivi, tornare a casa stanco e con il sorriso sul volto sapendo di aver fatto un’ottima prestazione. Ma soprattutto sbagliare tanto e capire dove si è commesso l’errore per non fallire più. Questo lo si fa in campo così come nella vita.

Socrate diceva infatti “cadere non è un fallimento. Il fallimento è rimanere là dove si è caduti”.

Leonardo Guadagni

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